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Uscire ad agosto prima dell’alba è piacevolissimo; l’aria è pulita, tutto è tranquillo, le strade sono vuote, c’è un gran silenzio, tanto che sarebbe quasi possibile sentire dalla città i ticchettii delle mungitrici
nelle stalle e le cantilene dei mungitori che invitano le bufale ad entrare
nelle sale per farsi mungere. Ogni bufala ha un nome ed ogni mungitore
le conosce tutte quante, anche se sono centinaia, perché ogni bufala ha
una faccia diversa, una mammella diversa, un modo di camminare ed un
carattere diverso, ogni bufala cala il latte in tempi diversi e tutte quante
riconoscono la voce del mandriano.
Una volta, non tanto tempo fa, quando ero ancora ragazzino, la mungitura
era una meraviglia: non esistevano ancora le mungitrici meccaniche e
prima dell’alba i bufalari, dopo aver raccolto le bufale in grossi recinti detti
procuiali, oppure dopo averle legate alla mangiatoie dentro grosse stalle, si
legavano dietro uno sgabello con un unico piede centrale, e cominciavano
a mungere a mano, seduti.
In estate vivevo col nonno e all’alba, da casa sua andavamo in calesse alla
masseria. Aspettavo tanto quel momento perché nonno mi faceva guidare.
Io agitavo in aria la frusta facendola schioccare, alzavo e abbassavo le
redini sul dorso della giumenta per affrettare il suo trotto, volevo arrivare
il più presto possibile per andare anche io a mungere le bufale. Una volta
arrivati correvo subito nella stalla. Le bestie erano già tutte legate con la
catena alla mangiatoia; col respiro e col calore del loro corpo rendevano
l’ambiente nebbioso e quel vapore acqueo che si formava faceva sgranare
i colori e mi impediva di vedere gli animali più lontani. I bufalari per ogni
bufala chiamavano il suo vitello intonando con un canto il nome della
madre, e i piccoli, chiusi in un recinto vicino, uno dopo l’altro, entravano
nella stalla correndo verso la madre che, sentendo quella voce e vedendo
arrivare il figlio, emetteva un richiamo sordo e tenero, si inarcava ed
allargava le zampe posteriori quasi a porgere al figlio tutto il latte che
aveva. Il vitello cominciava subito a succhiare prendendo a testate la
mammella della madre che automaticamente calava il latte. Dopo un poco
i piccoli venivano allontanati, il mungitore cominciava a mungere con
le sue grandi mani, stringendo e rilasciando i capezzoli, due per volta,
spingendo il latte nei grossi secchi zincati, a getti prima sottili e poi sempre
più grossi e pesanti.
Io ero inebriato dal rumore degli schizzi di latte nei secchi di zinco e man
mano che questi si riempivano, in superficie si creava uno strato sempre
più spesso di panna bianca e schiumosa.
Ogni bufala ed ogni suo figlio riconoscevano il proprio nome; i nomi di
una volta erano bellissimi: il più usato era Quann’è Austo, proprio perché
molte bufale partorivano in quel mese; poi c’era il Maresciallo, la Bersagliera,
Mai contenta, Lasciala stà, Generale Maneila m’pietto. Capaianca era
quella che aveva macchie bianche alla testa. Poi c’erano quelle che avevano
un vizio o un difetto particolare, e quindi si trovavano ‘A mezzarecchia,
‘A zoppa, ‘A cecata. C’erano quelle che avevano un portamento particolare,
‘a signorina, alcune erano la supponta di qualche operaio o di qualche altra
persona, per cui c’erano bufale che si chiamavano ‘U signurino, ‘A massara,
‘U dottore.
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